◉ STORIE
La “grande ruina” del 1669: quando l’Etna diventò l’inferno
L’eruzione durò quattro mesi e fu la più lunga degli ultimi 15mila anni sul vulcano. Un fiume di circa 600 milioni di metri cubi di magma, esteso per 40 chilometri quadrati, che cambiò il volto di Catania. Il recupero della memoria storica racchiuso in un libro con saggi, fotografie e illustrazioni. Il vulcanologo Stefano Branca: “Per la prima volta, fu un fenomeno mediatico di portata internazionale”
di Antonio Schembri
20 Febbraio 2024
Un catalogo sul rapporto millenario del territorio di Catania con la montagna madre che lo sovrasta incombente, con la sua potenza distruttrice e generatrice di vita. “Etna 1669. Storie di lava”, è il titolo della mostra, voluta e finanziata dalla Regione Siciliana, che 5 anni fa, per la ricorrenza del 350esimo anniversario dell’eruzione più disastrosa fino a oggi documentata del vulcano più attivo e alto d’Europa, si svolse presso la sede del Museo dei Saperi e delle Mirabilia siciliane, al piano terra del Palazzo Centrale di piazza Università a Catania.
Un evento di grande portata culturale, interrotto dopo pochi mesi dalla pandemia. Con la conseguenza di rimandare a data da destinarsi la promozione del relativo volume curato dalla Soprintendenza ai Beni culturali, insieme con l’Università degli Studi di Catania e l’Ingv, l’Istituto vulcanologico nazionale. Quel momento è arrivato ieri mattina, a Villa San Saverio, sede residenziale e amministrativa della Scuola Superiore dell’Università di Catania, quando il catalogo è stato finalmente presentato, dando l’esatta idea della finalità sulla quale quella mostra era stata imperniata. Ovvero il recupero della memoria storica di Catania, in particolare di ciò che il capoluogo etneo e alcuni tra i borghi situati sulle pendici del vulcano erano nella seconda metà del 1600: prima e immediatamente dopo quell’eruzione laterale che, tra altri eventi, determinò la repentina formazione, sulle sue spalle meridionali, dei cosiddetti Monti Rossi, i due coni piroclastici a neanche mille metri di quota nell’area di Nicolosi.
Un viaggio emozionale, questa raccolta di saggi, fotografie e illustrazioni. “Se l’Etna somiglia di dentro all’inferno, si può dire a ragione che di fuori somigli al paradiso. Questo monte riunisce in sé tutte le bellezze e tutti gli orrori, in una parola quanto di più opposto e dissimile esiste in natura”. Scriveva così, un secolo dopo la tremenda eruzione, lo scienziato scozzese Patrick Brydone nel suo romanzo epistolare Viaggio in Sicilia e a Malta.
Il libro postumo presentato ieri “compendia saggi sia di tipo scientifico sia artistico oltre che di genere storico -, illustra Stefano Branca, direttore dell’osservatorio etneo dell’Ingv – In questo approccio multidisciplinare finalizzato allo studio delle eruzioni vulcaniche e dei terremoti causati dall’Etna l’Ingv ha sempre contribuito con le sue ricerche specialistiche diventando un’eccellenza di carattere internazionale in questo ambito disciplinare”.
Il lavoro – continua Branca “è consistito nell’analisi di oltre 130 fonti coeve, tramite le quali è stato possibile ricostruire gli effetti dell’impatto territoriale e antropico dell’eruzione, sia nel breve che nel lungo periodo; in più, questo materiale storico ha consentito di effettuare studi di dettaglio sulla sismicità prodotta dall’intrusione del dicco magmatico. Così come a rivolgere l‘attenzione verso la diffusione delle relazioni giornalistiche contemporanee che tre secoli e mezzo fa resero l’Etna e la sua eruzione, per la prima volta, un fenomeno mediatico di portata internazionale”.
A questi studi si sono aggiunti nel tempo altri lavori su tematiche specifiche. Per esempio quello sull’analisi iconografica che ha permesso di ricostruire la storia dell’evoluzione del disegno delle eruzioni dell’Etna dal 16esimo secolo fino alla moderna cartografia geologica. “L’Ingv, con questo importante bagaglio scientifico e storico sull’evento del 1669, – aggiunge il vulcanologo – ha partecipato con grande entusiasmo fin dalla nascita del progetto ‘Etna 1669. Storie di lava’, collaborando con gli amici del Club Alpino Italiano di Catania, con i colleghi della Soprintendenza e dell’Università degli Studi di Catania, curando gli aspetti scientifici e storici della lunga rassegna di eventi iniziati con la conferenza inaugurale, tenutasi a Nicolosi nel 2019, fino alla realizzazione della mostra conclusiva nella sede del Rettorato dell’Ateneo catanese”.
A 350 anni dalla grande eruzione il percorso culturale della manifestazione “Etna 1669, Storie di lava” è stato un grande momento di confronto e collaborazione fra le varie componenti istituzionali della comunità catanese, rappresentando un punto di partenza per mantenere viva la memoria e quindi la conoscenza dei fenomeni eruttivi dell’Etna e soprattutto per accrescere la consapevolezza sulla pericolosità vulcanica e sismica del territorio.
Il 1669, anno della grande ruina (rovina). Così, per secoli la popolazione investita dalla colata lavica ha ricordato quell’immane disastro: niente di simile, danni alle aree coltivate e al tessuto urbano, era stato sperimentato a partire dal Basso Medioevo, il periodo in cui si incominciò a strutturare il reticolo urbano con lo sviluppo di numerosi centri abitati lungo il versante orientale di Idda, come ancora oggi viene chiamato l’Etna.
Stando alle testimonianze riportate nel volume, la colonna eruttiva fuoriuscita nel primo mese di parossismi vulcanici proprio dalla bocca del “monte della ruina” (poi ribattezzato Monti Rossi) produsse un deposito piroclastico di lapilli tale da provocare il crollo dei tetti di numerose case nei paesi di Pedara, Trecastagni e Viagrande. Ma – specifica Branca – “la caduta delle cenere arrivò a interessare un’area molto vasta tra Sicilia e Calabria”. L’intera eruzione – continua il vulcanologo – durò quattro mesi e determinò l’effusione di circa 600 milioni di metri cubi di magma che formò un campo lavico vastissimo, esteso per 40 chilometri quadrati e lungo fino a 17 chilometri. “L’eruzione del 1669 è stato un evento estremo nella storia eruttiva recente del vulcano. Ed la più lunga riconosciuta, non solo in epoca storica, ma tra i record geologici fatti segnare dall’Etna negli ultimi 15mila anni”.
Il libro appena presentato è stato anche l’occasione per descrivere un’applicazione geofisica contemporanea finalizzata alla conservazione del patrimonio architettonico della chiesa della Madonna delle Grazie di Misterbianco, quasi del tutto bruciata dalla colata lavica del 1669 (ne venne risparmiata solo una parte del campanile).
“Adesso l’auspicio è che questo volume possa rappresentare un punto di partenza per mantenere viva la memoria e la conoscenza delle eruzioni storiche dell’Etna – sottolineano dall’Osservatorio dell’Ingv – . E, soprattutto, per accrescere la consapevolezza collettiva sulla pericolosità vulcanica e sismica del territorio siciliano”.