◉ PALERMO
La storia infinita del mosaico De Spuches: il pavimento romano avrà una nuova casa
È ormai in dirittura d'arrivo la posa dei pannelli all’interno del padiglione espositivo nel chiostro di San Rocco, a Carini. È lì che finalmente, dopo un’odissea lunga 150 anni, troverà una collocazione definitiva l’opera proveniente da una villa tardo romana scoperta dal principe di Galati nel 1873
di Ruggero Altavilla
11 Aprile 2024
Un’odissea lunga 150 anni. È passato da un palazzo all’altro, smontato e rimontato più volte. Sequestrato e chiuso in casse al buio di magazzini e depositi. Adesso l’incredibile storia del mosaico De Spuches sembra avviarsi verso il lieto fine. È ormai in dirittura d’arrivo la posa dei pannelli all’interno del padiglione espositivo, realizzato dall’architetto Paolo Palmeri, nell’ex chiostro di San Rocco, a Carini. È lì che finalmente troverà una collocazione definitiva il pavimento musivo proveniente da una villa tardo romana scoperta da Giuseppe De Spuches, principe di Galati, in contrada San Nicola, nel 1873.
In questi giorni – come annunciato dal sindaco di Carini, Giovì Monteleone – sono stati posizionati i pannelli che, messi insieme, costituiscono un mosaico grande ben 142 metri quadrati, sotto tutela della Sovrintendenza dal 1999 ed esposto dal 2007 al 2014 nell’oratorio di San Filippo Neri, all’Olivella, a Palermo. Un rettangolo di otto metri per nove, testimonianza dell’antica Hykkara tardoromana, decorato da disegni geometrici, arricchiti da corone d’alloro, ghirlande di fiori, uccelli e pavoni, che presto tornerà a essere visibile in una nuova veste.
Una storia travagliata che inizia quando De Spuches, dopo la scoperta del mosaico, per salvarlo da distruzione certa ad opera degli operai che lavoravano nei terreni di contrada San Nicola, decise di acquisire il mosaico, tranne una parte absidale, per rimontarlo in una sala del suo palazzo di via Ruggero Settimo, a Palermo. È lì che rimane fino al 1975 quando uno dei discendenti del principe di Galati, Antonino De Spuches, mise in vendita il palazzo. Tra gli acquirenti ci fu anche Renato Guttuso che era intenzionato a comprare proprio quell’ala dove erano presenti i mosaici. Ma a causa della superstizione della moglie Mimise, secondo cui i pavoni raffigurati nei mosaici sarebbero stati portatori di sventura, Guttuso acquistò parte dell’immobile, escludendo il prezioso pavimento.
Così De Spuches si adoperò per ottenere dalla Soprintendenza l’autorizzazione a rimuovere il mosaico e spostarlo in altra sede, dal momento che un museo tedesco era interessato ad acquisirlo. Ma – come riportato in alcuni articoli del Giornale di Sicilia pubblicati all’epoca – la magistratura bloccò l’operazione perché il mosaico, nel frattempo, sarebbe stato rimosso senza permesso. Ma successivamente il reato fu prescritto e i panelli tornarono al principe, che li vendette alla Sitas, la società termale, partecipata della Regione, costituita per la realizzazione di un complesso turistico-termale a Sciacca. Nel 1989, però, la Soprintendenza bloccò il tentativo della Sitas di spostare il pavimento da Palazzo Galati per rimontarlo in uno degli alberghi. Nel frattempo la società, assediata dai debiti, dichiarò fallimento, mettendo all’asta il mosaico nel 1995 con un prezzo di partenza di 88 milioni delle vecchie lire.
Per scongiurare che l’opera finisse nelle mani di privati, fu costituito un comitato civico a Carini, composto da Ambrogio Conigliaro, oggi guida naturalistica, appassionato di storia della Sicilia; Ciccio Randazzo ed il professore Giovanni Palazzo, ai tempi curatore dei restauri in corso nel Castello La Grua Talamanca. Il comitato sensibilizzò l’opinione pubblica, proponendo che le istituzioni si facessero carico dell’acquisto del bene, per valorizzarlo. L’idea iniziale era quella di ricollocare, temporaneamente, il mosaico all’interno del Castello di Carini.
Così, dopo varie peripezie, nel 1999 la Regione acquisì definitivamente il mosaico De Spuches, trasferendolo nei depositi dell’Albergo delle Povere. Successivamente dal 2007 al 2014 i pannelli furono rimontati nell’oratorio di San Filippo Neri, all’Olivella, a Palermo, per poi essere trasferiti nuovamente a Carini, nell’ex convento di San Rocco.
Dopo dieci anni di attesa, finalmente, i mosaici sono pronti a essere esposti nel nuovo spazio progettato dall’architetto Palmeri. “Quando la Soprintendenza mi ha chiesto di sviluppare un progetto – spiega – ho proposto una struttura in acciaio e vetro che fosse in qualche modo reversibile e che si inserisse nel contesto storico dell’ex chiostro senza snaturarlo. Da qui sono partito per realizzare il progetto del padiglione le cui superfici in vetro ripropongono – per riflesso – lo schema del portico, oggi in parte non più esistente”.
I settantasei pannelli sono stati restaurati dall’impresa di restauro di Ivana Mancino che ha ripulito chimicamente i pezzi che compongono il mosaico, più “una serie più piccola che non è mai stata esposta perché non entrava nell’oratorio di San Filippo Neri dove fino al 2014 si trovava il pavimento musivo. Quello che oggi volge alla fase finale – racconta la restauratrice – è stato un lavoro molto importante, anche per il prestigio dell’opera, durato un paio di mesi. Dopo il montaggio inizierà l’ultimo step del restauro che consisterà nel consolidamento, per far affiorare i colori del pavimento musivo in pietra, in cotto e in pasta vitre, e nella stuccatura conservativa”.
La storia travagliata del pavimento viene ripercorsa nel libro dal titolo “Mosaico De Spuches/Galati”, scritto da Giuseppe Randazzo e Giovanni Filingeri e presentato ieri al Castello La Gru Talamanca. Gli autori, attraverso una minuziosa ricerca archivistica – fanno sapere dal Comune – sono risaliti al luogo di provenienza del mosaico che a sua volta ha aperto un nuovo orizzonte di studio sulla complessa realtà archeologica dell’antica Hykkara, perché amplia l’area insediativa del vicus romano.
All’interno dell’ex chiostro di San Rocco, dove attualmente si trova il mosaico, sorgeranno anche un museo e un laboratorio didattico per lo studio del mosaico. Questi luoghi, insieme agli altri monumenti restaurati e al neonato museo delle catacombe di Villagrazia, di proprietà della Regione, costituiranno un’altra tappa del percorso storico culturale patrimonio dei carinesi da trasmettere alle future generazioni. “Appena sarà completato il montaggio dei pannelli musivi – dichiara l’assessore comunale ai Beni e alle attività culturali Salvatore Badalamenti – il chiostro subirà un piccolo intervento di ristrutturazione e, a seguire, il padiglione sarà finalmente inaugurato e aperto al pubblico”.