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Palermo e la riscoperta del Castello a mare, una ferita che si sta sanando

Al disseppellimento delle mura mancava ancora la parte estrema della fortezza, quella che si affacciava sull'acqua e che comprendeva i due imbarcaderi, il bastione di Santa Rosalia, la garitta di sud ovest e la porta di mare. Parte che è stata portata alla luce grazie cantiere che ha visto nascere il nuovo Marina Yachting. Eppure appena quasi un trentennio fa del monumento non c'era più traccia

di Emanuele Drago

28 Dicembre 2023

Sembra incredibile rivedere riemergere dal nulla, dopo un secolo, il vecchio tracciato murario del Castello a mare di Palermo. Un’importante operazione di disseppellimento storico, soprattutto se si pensa che appena quasi un trentennio fa del castello non v’era più traccia, tanto era sepolto da una infinità di magazzini e attività legate alla cantieristica da diporto.

I bastioni del Castello a mare circondati dal lago

Eppure, non stiamo parlando di un sito come un altro, bensì del Castrum inferior che difendeva il vecchio porto della Qala. Oggi, dopo la nascita del Palermo Marina Yachting (ne abbiamo parlato qui), dello splendido lago artificiale con la fontana danzante più grande d’Italia, e della riscoperta degli antichi imbarcaderi che si affacciavano sul mare, il sito archeologico – che come ha giustamente voluto rimarcare durante l’inaugurazione il presidente dell’Autorità portuale, Pasqualino Monti – costituisce un unicum tra i porti del Mediterraneo e si candida ad essere incluso nell’elenco dell’itinerario arabo normanno, decretato nel 2015 dall’Unesco patrimonio dell’umanità.

D’altronde, e di questo ne siamo certi, le zone circostanti al castello potranno riservare altre sorprese: pensiamo ad esempio al fatto che, con la nuova riconfigurazione del vecchio mercato ittico, sarà certamente reso fruibile ciò che resta della sottostante chiesa di Santa Maria di Piedigrotta. Il sito, per quanto in gran parte monco, potrà riprendere parte dei suoi pezzi mancanti, come la statua di San Giovanni Nepomuceno (che oggi si trova nella chiesa di San Giacomo dei Militari, ma un tempo collocata davanti alla spianata che dava accesso alla porta aragonese) e magari anche una copia dell’ariete bronzeo la cui unica superstite si trova oggi esposta al museo Salinas.

Il Castello a mare in un dipinto

L’importanza del Castello a Mare è indubbiamente legata alla sua storia millenaria. Il primo a parlarne e a darne una illustrazione fu nel 1154 Ugo Falcando nel suo Liber de regno Siciliae. Altra importante illustrazione fu poi quella che ne diede Pietro da Eboli nel panegirico Liber ad honorem Augusti del 1196. Chiamato fin dall’origini in diversi modi (Castello vecchio, castello di sotto o inferiore) fu non solo la prima sede del governo dei viceré, ma anche il luogo in cui si riunì in primo parlamento. In poco tempo, insieme alla vicina fortezza dello Steri, divenne il secondo centro del potere spagnolo in città, tanto che alla fine del 15esimo secolo, sotto Ferdinando il Cattolico, gli Aragonesi decise di issare due stendardi sul nuovo portico. Portico che aveva sopra il suo corpo d’ingresso l’effige di un’aquila, purtroppo oggi scomparsa.

I bastioni del castello

Fu così che il Castello a mare divenne il luogo in cui si organizzavano le adunate per la ratifica delle decisioni prese. Oltre a due importanti chiese, la chiesa di San Pietro la Bagnara e la chiesa di San Giovanni Battista, il possente fortilizio possedeva anche prigioni, cappelle, stanze di tortura e piccoli dammusi. Ciò è spiegabile col fatto che, almeno fino alla metà del Seicento, questa sorta di cittadella venne anche utilizzata come sede del carcere dell’Inquisizione, almeno fino a quando i rapporti tra le guardie del castellano, che mal tolleravano il mancato riconoscimento dei componenti della nobile Compagnia, e i Bianchi stessi non si guastarono. Tale contrasto infatti convinse il viceré del tempo, Andrea Salazar, a fare trasferire alcune prigioni dentro il vicino palazzo della Dogana, in quello che poi sarebbe divenuto il carcere della Vicaria.

Parziale demolizione della fortezza nel 1861

Col passare dei secoli, essendo la massima sede militare del potere costituito, finì per diventare il bersaglio preferito non solo dalle truppe nemiche che arrivavano dal mare (basta ricordare la Naumachia del 2 giugno del 1676 in cui la grande ammiraglia spagnola s’incagliò tra i suoi scogli) ma anche di coloro che guidavano ogni forma di insurrezioni popolare. Così infatti avvenne durante i moti 1820, del 1848, ma anche durante l’insurrezione garibaldina avvenuta nel maggio del 1860, un mese dopo l’esecuzione dei tredici patrioti che proprio dentro le prigioni del Castello a mare erano stati ospitati il giorno prima che venissero fucilati, poco oltre il bastione di San Giorgio, nella piazza che oggi ricorda il loro eroico sacrificio.

Distrutto dai garibaldini perché profondamente inviso, sessant’anni dopo subì un ulteriore onta: in sei mesi venne in gran parte demolito dalla dinamite per far spazio alle strutture del nuovo porto. E non bastarono, come ebbe a dire Rosario La Duca in un importante suo testo monografico, né gli appelli dei rappresentanti del museo di Storia Patria, né quelli di intellettuali come Ernesto Basile affinché venisse salvato ciò che era ancora possibile salvare.

Il bastione San Pietro

Dopo la dinamite venne il tempo dell’oblio. Sorsero così in poco tempo una serie di magazzini abusivi che finirono per soffocare le uniche strutture che non erano state ancora sepolte dalla terra: il torrione, il portico aragonese e il mastio, sebbene di quest’ultimo fosse state ormai da tempo smantellato le strutture esterne. Anche i fossati e i bastioni vennero completamente coperti dalle macerie. Ma quando tutto sembrava ormai perduto, i palermitani si ricordarono del loro antico castello. Così, a partite dal 1988, grazie ai fondi europei, si accarezzò nuovamente il sogno di dare inizio ai lavori che avrebbero riportato in vita ciò che rimaneva dell’antico Castrum inferior. Lavori di recupero, demolizioni e scavo che si concretizzarono solamente nel 2006 e che, oltre a liberare l’area da gran parte delle attività abusive, permisero di riportare alla luce agli antichi fossati, i bastioni di san Pasquale e san Giorgio (con all’interno il torrione di san Pietro), la porta d’ingresso d’impianto aragonese, il rivellino e il mastio con ciò che rimaneva della piccola necropoli musulmana.

Una foto dell’archivio Incorpora con il castello prima della demolizione

Ma al completo disseppellimento delle mura mancava ancora la parte estrema del castello, quella che si affacciava sul mare e che comprendeva i due imbarcaderi, il bastione di Santa Rosalia, la garitta di sud ovest e la porta di mare. Parte che è stata portata alla luce grazie cantiere che ha visto nascere il nuovo Marina Yachting. Ancora una volta Palermo sta provando a rinascere dalle sue stesse ceneri e, dopo aver sepolto per quasi un secolo il suo stesso etimo, prova a riscoprire e a spiegare a turisti e non, quale fosse il reale senso di quel “tutto porto”.