Quelle pietre tra terra e cielo: Cerami e il mistero dei menhir
17 Dicembre 2021
Un convegno al museo Salinas di Palermo ha fatto il punto sul presunto complesso megalitico preistorico scoperto alle pendici dei Nebrodi
di Guido FioritoÈ ancora possibile l’avventura archeologica in Sicilia? Quanto di non scoperto rimane nel territorio isolano? La storia dei menhir di Cerami suscita queste domande. L’avventura c’è tutta. Una valle sperduta a due chilometri da Cerami, altrettanto sperduto paese all’interno della Sicilia, in provincia di Enna ma vicino ai Nebrodi. Un punto di passaggio, in antichità, della cosiddetta Palermo-Messina montagne, la strada interna scelta dei viandanti, considerato la pericolosità dei tratti costieri per le incursioni piratesche.
Nella valle di Cerami, quasi irraggiungibile, selvaggia, mai coltivata, ai piedi del monte Mersi, s’intravedono delle pietre nascoste dai rovi e dalla alta vegetazione. Ferdinando Maurici della Soprintendenza del Mare è il primo a intervenire sollecitato dalle associazioni locali. Si scopre che di tratta di menhir, certamente nel senso letterale: la parola deriva dal bretone men hir dal significato di pietra lunga. E pietre lunghe sono.Ma quale significato dare a questi menhir? Un convegno al museo Salinas di Palermo ha fatto il punto della situazione, alla presenza dello stesso Maurici e di Alberto Scuderi, vicedirettore nazionale dei Gruppi archeologici d’Italia, ovvero coloro che si sono occupati del sito. Intanto, i menhir sono molti di più: almeno ventidue. L’area, liberata dalla vegetazione, ha rilevato altre sorprese. Sono venuti fuori decine e decine di fori passanti scavati nelle rocce, “troppi per far pensare a un utilizzo per anelli di pastori per trattenere il bestiame”, dice Maurici.I menhir rimasti in piedi (sei) sono più o meno a distanza costante (2,70 metri), con altezza tra un metro e un metro e mezzo, disposti su un breve arco di cerchio a formare due file. Altri sono per terra, alcuni vicino ai buchi dov’erano piantati. Altri nove ancora, tre spezzati e sei integri, sono distesi in un’area sovrastante. È stata poi scoperta una cava da cui sono stati tratti i menhir. Altri tre sono ancora lì, parzialmente intagliati nella roccia. “La pulizia – dice Scuderi – ha messo in luce una struttura a gradoni. Non ci sono frammenti di ceramica tranne cinque-sette di origine neolitica. In un caso, gli esperti dicono che è ascrivibile alla cultura di Piano Conte, Isole Eolie”. Datazione terzo millennio avanti Cristo.Lo studio della posizione dei menhir ha rivelato dei precisi riferimenti astronomici, con allineamento degli ultimi tre in piedi all’alba del sole al solstizio d’inverno e al tramonto in quello d’estate. Lo stesso allineamento che si trova nel castello di Cerami. Altri blocchi di roccia, in parte levigati dall’uomo, sono nel sito con lo stesso orientamento. “In Sicilia – spiega Alfio Bonanno dell’Istituto Nazionale di Astrofisica – esistono decine di monumenti antichi orientati dal punto di vista astronomico, per esempio il tempio di Diana a Cefalù”. La necessità di questi calendari-monumenti era legata all’agricoltura. Per esempio il greco Esiodo scriveva che bisognava “attendere il volger del sole per arare la terra divina”. Intendeva il solstizio d’inverno. Senza orologi meccanici e computer digitali, i calendari erano fisici e costruiti con l’osservazione del cielo. Questi siti-calendario erano spesso legati, in tutto il Mediterraneo, a riti propiziatori della fertilità, usuali in terre coltivate a grano e ad altri cereali, come nella zona di Enna. Riti in nome della dea Demetra, corrispondente alla romana Cerere, che presiede ai raccolti e alle messi.Sui menhir di Cerami resta grande la prudenza. Non c’è una datazione. Maurici ha detto, che escludendo l’impostura, l’origine extraterrestre e quella di un utilizzo per costruzioni per la lontananza (un paio di chilometri) da Cerami, resta unica ipotesi verosimile – ha concluso – quella di un complesso megalitico preistorico con funzioni di calendario astronomico. Per Scuderi “si potrebbe ipotizzare una datazione preistorica piuttosto tarda, fra Età del Rame e Età del Bronzo, mentre una ipotetica datazione neolitica sarebbe un fatto assolutamente eccezionale e di interesse ulteriormente straordinario”.“Un punto di partenza – ha detto Alberto Samonà, assessore regionale ai Beni culturali – per comprendere i tesori che questo territorio custodisce e che possono dare un contributo non indifferente per la sua promozione”. Il convegno ha offerto collegamenti con la Sardegna. Isola disseminata di menhir, che lì chiamano is perda fittas (le pietre fitte), al contrario della Sicilia dove quelli di Cerami sarebbero i primi trovati. In particolare con i menhir di Pranu Mutteddu e, soprattutto, di Biru e ‘Concas, e con il lastrone con buchi passanti di Monte d’Accoddi. Anche se in Sicilia esistono altre strutture megalitiche, per esempio la spirale di Bronte, in contrada Balze Soprane, anche questa orientata dal punto di vista astronomico verso gli equinozi.