Gli affreschi nascosti di Palazzo Landolina, scrigno Liberty nel centro di Palermo

Il severo prospetto neomedievale svela all’interno una ricchezza decorativa che si è conservata nel tempo. Tra stucchi, pitture e marmi, spiccano i tre grandi pannelli di Onofrio Tomaselli che avvolgono lo scalone nell’androne

di Carola Arrivas Bajardi

29 Giugno 2023

Nella Palermo di inizio Novecento una nuova stagione si fa strada. Inaugurata con l’Esposizione Nazionale del 1891-1892, la Belle Époque palermitana vede riuniti insieme artisti e maestri di grande calibro che, con magistrale talento, riescono a coniugare le tendenze più classiche con i repertori alla moda più diffusi in Europa.

Il prospetto di Palazzo Landolina (foto Carola Arrivas Bajardi)

Un interessante esempio ancora poco conosciuto di quella stagione d’oro è il palazzo Landolina di Torrebruna. Sorge in via Agrigento, lungo la direttrice d’espansione della Palermo liberty, fu la dimora dei Landolina, antichissima famiglia di origine normanna (si narra che un certo Rotlando fu commilitone e consanguineo di re Ruggiero), il cui blasone dal motto “Ne me tangas” (“non toccarmi”) è ancora oggi presente al suo interno.

Porta decorata con affresco sullo sfondo (foto Carola Arrivas Bajardi)

Il titolo di Principe di Torrebruna lo ottiene nel 1885 Francesco Rotlando, socio emerito della Reale Accademia di Scienze e Lettere di Palermo. L’anno successivo il neo principe diviene uno dei proprietari della nuova “Società Sicula per l’Esportazione dell’Asfalto Naturale”, prima ditta isolana ad inserirsi nel fiorente mercato dell’esportazione dell’asfalto ragusano verso l’Europa, capace persino di competere con le imprese inglesi che già facevano affari in Sicilia. Siamo nel pieno della seconda rivoluzione industriale, in tutte le grandi città si inizia a far uso dell’asfalto per pavimentare le strade e i Landolina di Torrebruna entrano a pieno titolo all’interno della nuova aristocrazia dirigenziale che si appresta a “disegnare” la nuova Palermo. Nel 1901 sarà il figlio di Francesco Rotlando, Filippo Landolina di Torrebruna ad incaricare l’architetto Giovanni Tamburello di realizzare il suo palazzetto nell’area dell’“ex firriato di Villafranca”, ora del principe di Radaly, dove dieci anni prima erano stati eretti i padiglioni della grande Esposizione Nazionale.

Lunetta sopraporta di Gaetano Geraci (foto Carola Arrivas Bajardi)

L’antica dimora, che si presenta all’esterno con una volumetria imponente e severa in stile neomedievale, all’interno svela inaspettatamente le sue ricche fogge appartenenti al Liberty palermitano dei primordi. Quando, varcato il portone d’ingresso in stile floreale, si entra nell’androne, salta subito all’occhio il sistema di progettazione integrale tipico del Liberty e si possono ammirare le membrature dell’intradosso della volta a botte, i decori delle porte, le modanature delle lunette, le pitture decorative del cortile interno.

Volta affrescata (foto Carola Arrivas Bajardi)

Il palazzo ha mantenuto intatta nel tempo la sua ricchezza decorativa. Il piano nobile conserva ancora l’apparato d’un tempo fatto di ricchi motivi damascati, stucchi e cieli stellati, papiri stilizzati, figure femminili e motivi floreali. I motivi a colpo di frusta sono già presenti, tuttavia non scandiscono ancora in modo deciso le composizioni che appaiono in taluni casi piuttosto rigide, in altri un poco sovraccariche. Nel soffitto del salone centrale, in particolare nei delicati motivi a fiori bianchi con corolle sferiche, si riconosce l’impronta stilistica di Salvatore Gregorietti, tra i più geniali collaboratori del Basile.

Onofrio Tomaselli, La Musica (foto Carola Arrivas Bajardi)

Di Gaetano Geraci sono invece le eleganti lunette sopra porta in cemento dipinto a smalto e i pannelli in pietra bianca di Melilli che decorano lo scalone laterale. Quest’ultimo conduce il visitatore in una promenade da cui si possono ammirare tre grandi affreschi eseguiti da Onofrio Tomaselli, che avvolgono letteralmente lo spazio: La poesia, La musica e La danza.

Onofrio Tomaselli, La Danza (foto Carola Arrivas Bajardi)

Il “Professore”, così era chiamato dai contemporanei, esegue i tre grandi pannelli affrescati come fossero quadri, con una sua personalissima interpretazione. La sua cifra stilistica, in cui la resa naturalistica si fonde con una pittura sensuale, corposa e appagata, non cede il passo neanche per un’istante ai repertori alla moda del tempo. La sua risposta al Liberty è molto chiara: natura senza stilizzazioni e senza mistificazioni che, per quanto “pensata”, coincide ancora con il “vero”. Il fascino delle sue eleganti figure femminili immerse nella natura, in cui il simbolismo cede il passo alla sensualità, risiede dunque negli insegnamenti del suo maestro Domenico Morelli, secondo cui l’arte consiste nel “rappresentare figure e cose non viste, ma immaginate e vere ad un tempo”.

Gli affreschi di Tomaselli attorno allo scalone (foto Carola Arrivas Bajardi)

Tomaselli non farà mai parte della schiera di collaboratori di Basile, le suggestioni più nuove degli stili decorativi di un De Maria Bergler, che ha da poco affrescato Villa Igiea, non lo coinvolgono. Professore e direttore del “Regio Istituto e Scuola d’Arte”, ha un carattere schivo e riservato e per parecchi anni si tiene volontariamente lontano dalla mondanità di mostre ed esposizioni. Molto apprezzato dai contemporanei per i numerosi ritratti a pastello eseguiti con “singolare e vaporosa maestria” e con una capacità di introspezione sorprendente, pur non aderendo pienamente al “main stream” del Liberty, Tomaselli può essere annoverato a pieno titolo tra i migliori esponenti dell’800 palermitano.

Soffitto affrescato con decori floreali di Salvatore Gregorietti (foto Carola Arrivas Bajardi)

Pittore sincero e onesto, d’istinto e di studio, è stato fondamentalmente un “ottimo maestro”. Così lo ricorda Alfonso Amorelli alla sua morte nel 1956 nel giornale l’Ora: “Era un ottimo maestro: egli si avvicinava all’allievo […] con grande comprensione e dolcezza […] se l’allievo dubitava delle proprie capacità, lo incoraggiava a continuare […] iniziandolo alla meravigliosa libertà della fantasia, alla folgorante intensità della creazione”. “lo sono partito da qui”, affermerà invece Renato Guttuso quando realizzerà la Zolfara ispirata al suo capolavoro “I carusi” del 1905, la tela che lo consegna alla storia della pittura siciliana. Un episodio che, pur rimanendo isolato, basta da solo a riscattarlo.(Foto Carola Arrivas Bajardi)