Nuova luce su vita e morte degli antichi siciliani
Un progetto multidisciplinare ricostruisce la storia e le malattie delle popolazioni dell’Isola, attraverso l’ispezione dei loro resti. Coinvolti ricercatori dell’ateneo lituano di Vilnius, di quelli britannici di Oxford e Cranfield, insieme a quelli dell’Ibam-Cnr di Catania
di Redazione
11 Settembre 2019
Ricostruire la storia e le malattie degli antichi siciliani attraverso l’ispezione dei loro resti, diagnosticare eventuali condizioni patologiche che abbiano lasciato segni inequivocabili sulle ossa, analizzarne lo stress fisiologico correlandoli alle strategie di sussistenza. Nasce con questi obiettivi il progetto “Salute e malattia in Sicilia”, che coinvolge i ricercatori di tre atenei europei – quello lituano di Vilnius, e quelli britannici di Oxford e Cranfield – che, insieme a quelli dell’Ibam-Cnr di Catania, affronteranno lo studio dei resti riferibili a vari contesti cimiteriali che coprono un periodo compreso tra il Neolitico e la prima Età Moderna.
Il progetto ha previsto una prima fase di selezione dei materiali e di standardizzazione dei protocolli, una seconda fase di formazione dei ricercatori, per poi passare a una fase operativa, grazie alla cooperazione di numerose istituzioni regionali che hanno reso disponibili i preziosi reperti. “Abbiamo già completato lo studio di due ampie necropoli – dice il coordinatore siciliano dello studio paleopatologico, Dario Piombino-Mascali, che è anche docente di antropologia forense all’ateneo di Messina – e stiamo per iniziare un’ulteriore missione insieme con vari dottorandi e giovani ricercatori estremamente competenti e motivati. Dopo aver schedato i materiali, i dati verranno elaborati attraverso un software specifico che permette di ottenere un indice di salute e valutare attraverso il tempo la presenza di stress biologico e di specifiche malattie tra i campioni in esame”.Il progetto non si limita però a valutare le condizioni che afflissero le popolazioni antiche. “Infatti – continua l’antropologo forense Nicholas Marquez-Grant dell’Università di Cranfield – stiamo procedendo anche a indagini chimiche minimamente invasive, attraverso lo studio degli isotopi stabili”. Si tratta di una tecnica biogeochimica che consente, tra l’altro, di ricostruire la dieta, ma anche per identificare periodi di stress fisiologico nelle ossa. “Si tratta di un progetto senza precedenti – osserva Massimo Cultraro, archeologo e primo ricercatore dell’Istituto per i beni archeologici e monumentali di Catania – che ci permetterà di acquisire una banca dati e delle statistiche attraverso lo studio del materiale scheletrico proveniente da diversi contesti siciliani, dalla preistoria alle soglie dell’Età Moderna, senza limiti territoriali né culturali”.Nell’ambito del progetto, la Soprintendenza dei Beni culturali di Catania, guidata dall’archeologa Rosalba Panvini, ha promosso lo studio paleopatologico dei resti umani pertinenti alla necropoli della chiesa medievale di Santa Maria della Valle di Josafath, nota anche come chiesa della Gangia. Le indagini sono state coordinate dall’archeologa Laura Maniscalco, dirigente della sezione archeologica dell’ente regionale, che nel 2009 aveva supervisionato lo scavo studiandone i reperti. Dopo una prima valutazione dei dati storici, gli antropologi hanno investigato i resti, affiancati dagli archeologi dell’associazione Siciliantica di Paternò. I reperti, suddivisi in 56 casse, e pertinenti a tutti i sessi e a diverse età, hanno rivelato, tra l’altro, la presenza di osteoartrosi, a volte particolarmente grave, la frequenza di malattie metaboliche rappresentate da porosità delle ossa, e un numero di traumi, tanto guariti che inferti in prossimità del decesso, rappresentando, per uno dei soggetti, la probabile causa di morte.La fase di studio successiva, programmata per il prossimo gennaio, prevede l’analisi degli isotopi stabili da campioni ossei o dentari per ricostruire la dieta e la provenienza di questo interessante gruppo umano, presumibilmente di origine normanna.