◉ AGRIGENTO

L’ex carcere di San Vito diventa uno spazio d’arte contemporanea

Da luogo di reclusione a spazio di creatività e memoria condivisa: l’ex penitenziario torna a vivere con Countless Cities, la Biennale delle Città del Mondo. Un progetto firmato Farm Cultural Park che lega arte, urbanistica e dialogo tra i popoli. Un nuovo tassello nel percorso di Capitale Italiana della Cultura 2025

di Redazione

1 Luglio 2025

Restituire ai luoghi il potere di raccontarsi, trasformarsi e generare futuro. Questo sta avvenendo ad Agrigento, nell’ex convento di San Vito,  da poco riconsegnato alla città nell’anno di Capitale italiana della Cultura. Un tempo luogo di fede, poi carcere fino al 1996, San Vito racconta secoli di trasformazioni. L’ennesima nei giorni scorsi dopo un intervento radicale che lo ha trasformato in un centro culturale pulsante, grazie a Farm Cultural Park, che ha avuto assegnato lo spazio dall’Agenzia del Demanio.

L’interno dell’ex carcere

Dove un tempo si chiudevano le celle dei detenuti, oggi si aprono le porte a installazioni immersive, progetti artistici, riflessioni collettive. Un gesto potente di rigenerazione urbana che ribalta la narrazione del luogo, restituendolo alla cittadinanza come spazio di partecipazione.

Nell’ex penitenziario è stato creato un effetto immersivo estenuante – che ricorda il suono delle proteste dei detenuti sulle sbarre  – e introduce a spazi recuperati che oggi ospitano i padiglioni di Countless Cities – La Biennale delle Città del Mondo. Un evento internazionale che, alla sua quarta edizione, ha scelto come titolo “The Superpowers of Culture and Good Relationships”, e che proprio ad Agrigento presenta i suoi tre nuovi padiglioni dedicati a Nazareth, Medellín e Haiti.

Tre padiglioni per raccontare conflitti, rinascite e crisi dimenticate

Una delle installazioni nell’ex carcere di San Vito

Nel padiglione di Nazareth, l’architetto palestinese Razan Zoubi Zeidani esplora il rapporto fra il suo popolo e la casa come simbolo di resistenza, partendo dall’esperienza di “Aldar”, lo spazio da lei fondato per intrecciare arte, architettura e memoria collettiva. Il padiglione di Medellín, ideato da un team internazionale che include Luca Bullaro, Jorge Torres, Giovanna Spera e Horacio Valencia, racconta invece la metamorfosi di una delle città un tempo più pericolose al mondo in un modello di urbanistica sociale. Attraverso elementi sospesi in bambù che richiamano la valle e il fiume della città colombiana, l’installazione restituisce una narrazione poetica e concreta di rigenerazione.

Drammatica e urgente la testimonianza del padiglione Haiti: Forgotten Humanitarian Crisis racconta una crisi ancora in corso, iniziata nel 2024, e che ha gettato il Paese in una spirale di violenza, epidemie e sfollamenti. Coordinato da Carla Bartoli di Ring e basato sulla ricerca di Ciganer Albeniz, il progetto punta a riportare attenzione internazionale su una tragedia dimenticata.

Gli altri interventi: Villa Genuardi e l’auditorium di Aragona

L’ex convento di San Vito rigenerato (foto Marco Coico)

Il progetto di recupero del carcere di San Vito si inserisce in un disegno più ampio che, accanto agli eventi e ai festival, punta a lasciare segni tangibili sul territorio. Agrigento 2025 ha infatti sostenuto anche altri interventi di rigenerazione come quello sul giardino monumentale di Villa Genuardi: in collaborazione con la Soprintendenza, l’obiettivo è creare un grande parco urbano capace di connettere in un’unica dorsale verde la città antica e quella moderna. Ma non solo: anche ad Aragona, a pochi chilometri da Agrigento, si guarda con occhi nuovi a uno dei tanti simboli delle incompiute siciliane. L’auditorium abbandonato da 35 anni sarà trasformato in un centro per l’arte urbana, con l’intento di restituire al territorio uno spazio che per troppo tempo è rimasto sospeso.

Favara, il laboratorio permanente di Countless Cities

I corridoi dell’ex carcere (foto Marco Coico)

Il viaggio di Countless Cities nell’anno di Agrigento Capitale della Cultura è partito da Favara, nella sede storica di Farm Cultural Park, che proprio quest’anno festeggia i suoi primi 15 anni. Lì sono stati presentati i padiglioni dedicati a Corea del Sud, Khartoum e Kinshasa, un percorso che attraversa tensioni umane, sociali e spirituali di popoli in cerca di riconciliazione. In queste stanze effimere, la mostra solleva domande sul futuro dei villaggi tradizionali nel contesto dell’urbanizzazione accelerata, e riflette su quali memorie possano essere tramandate nel vortice del cambiamento.

Una rete culturale che unisce istituzioni e comunità

Andrea Bartoli e Florinda Sajeva

La direzione artistica dell’intero progetto è firmata da Andrea Bartoli, affiancato da un team internazionale di curatori tra cui Renzo Lecardane, Zeila Tesoriere, Paola La Scala, Inhee Lee, Jaehoon Chung, Yoonjeong Kim, Mladen Jadric, Silvia Serreli, Gianfranco Sanna e Giovanni Maria Biddau. Il loro lavoro intreccia arte, architettura, diplomazia culturale e nuove pratiche urbane, con l’intento di fare della cultura uno strumento di dialogo e rigenerazione.

L’intero progetto è sostenuto dalla Direzione generale Creatività Contemporanea  del ministero della Cultura, nell’ambito del bando Laboratorio di Creatività Contemporanea. Un’azione corale che coinvolge istituzioni come la Regione Siciliana, il Parco Archeologico della Valle dei Templi, il Politecnico di Milano, i Comuni di Favara, Agrigento, Aragona, Mazzarino, Riesi, Palermo, Alcamo, e numerosi partner nazionali e internazionali.

La storia dell’ex convento di San Vito

L’ingresso dell’ex carcere sede dei padiglioni di Countless Cities

Il complesso del convento di San Vito, edificato nel 1432 per volontà del Beato Matteo Cimarra e finanziato dal Senato agrigentino, rappresenta uno dei nuclei originari della struttura dell’ex carcere. Originariamente situato nella boscosa Rupe Atenea, a pochi passi dalle mura medievali di Girgenti, il convento fu pensato come un luogo di devozione e accoglienza spirituale. Nel 1863, con la soppressione degli ordini religiosi e il passaggio dei loro beni allo Stato, i frati furono costretti a cedere il convento che venne trasformato in carcere, e tale rimase fino al 1996 quando i detenuti furono trasferiti nella moderna casa circondariale Di Lorenzo.

Cortile dell’ex carcere con un’installazione d’acqua (foto Marco Coico)

Chiuso nel 1996, l’ex carcere di San Vito è diventato un luogo spesso inaccessibile, le cui funzioni storiche e spirituali sono cadute nell’oblio. Negli anni successivi, sono state avviate campagne di sensibilizzazione e studi preliminari – come quelli promossi dall’Università di Palermo – per ipotizzare un restauro compatibile in grado di restituire alla comunità questo luogo pieno di storia. Oggi il sito emerge come un monumento silenzioso, simbolo delle stratificazioni architettoniche, sociali e culturali di Agrigento.