Arte e polemiche tra i templi: stop alla mostra di Segesta

23 Aprile 2022

Dopo le parole di Vittorio Sgarbi che bolla come “mostruosità” le installazioni della Fondazione Merz nel parco archeologico, il governo regionale annuncia che l’allestimento dovrà essere trasferito altrove

di Antonio SchembriNatura, arte e scienza. Trinomio affascinante e connessione estetica avvincente che, a volte, quando tocca o supera un limite ideale e, per ciò stesso, discutibile, come è per esempio quello della sacralità di un luogo, può suscitare anche disapprovazione. E portare talvolta a prese di posizione dure e a decisioni altrettanto drastiche. È quanto sta accadendo in questi giorni a Segesta con la mostra d’arte contemporanea allestita al cospetto del tempio situato ai piedi del Monte Barbaro: l’unico punto – parafrasando Guy de Maupassant – su cui il maestoso monumento, uno degli esempi di architettura dorica più raffinati e misteriosi del Mediterraneo, “avesse mai potuto essere costruito per animare da solo l’immensità del paesaggio, che ne esce vivificato e divinamente bello”.

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Il tempio di Segesta e la “Spirale” di Varotsos

A una settimana dall’inaugurazione di “Nella natura come nella mente” – questo il titolo dell’esposizione organizzata da MondoMostre in collaborazione con la Fondazione Merz all’interno del Parco archeologico che delimita l’area a 7 chilometri da Calatafimi, sulla quale prosperò la città elima fondata dai troiani in fuga – le opere in esposizione, quattro in tutto, hanno da una parte raccolto curiosità e apprezzamenti da parte dei visitatori. Lo dimostra il loro numero dal giorno dell’inaugurazione della mostra, lo scorso 14 aprile, in particolare quello dei biglietti staccati nel solo giorno di Pasquetta: circa 1.200, il doppio dell’attuale media giornaliera del Parco di Segesta.
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Particolare di “Primo punto dell’ariete” di Ignazio Mortellaro

Dall’altra però, le installazioni di Mario Merz, Costas Varotsos e Ignazio Mortellaro, collocate tra l’area sottostante il tempio, l’agorà e l’antiquarium, hanno fatto anche sollevare sopraccigli sul ruolo e i messaggi dell’arte contemporanea in un’area in cui la mitologia e la bellezza dell’arte classica dominano da 25 secoli. Due giorni fa Vittorio Sgarbi le ha bollate, senza mezzi termini, come “mostruosità”. Il problema della complementarietà degli allestimenti rispetto al contesto sollevato dal critico d’arte, è stato prontamente rilanciato dal presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, che, condividendo le osservazioni di Sgarbi, ha prima chiesto all’assessore regionale ai Beni culturali, Alberto Samonà, di diramare subito un atto d’indirizzo affinché i direttori dei parchi archeologici si attengano a valutazioni omogenee; e ha poi annunciato che l’allestimento artistico dovrà essere spostato in un altro contesto.
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Mario Merz, “Un segno nel Foro di Cesare”

Dal canto suo, nel provvedimento firmato da Samonà, il quale sottolinea di non essere in via generale contrario a questo genere di operazioni all’interno di aree e parchi archeologici, si legge che “queste devono essere precedute dalla presentazione, da parte del soggetto proponente, di un dettagliato progetto espositivo da sottoporre a preliminare autorizzazione da parte del dipartimento dei Beni culturali”. Gli organizzatori di MondoMostre hanno comunicato di voler recepire le indicazioni del governatore siciliano e dell’assessorato e di stare già lavorando con la Fondazione Merz e la direzione del Parco, per trovare la soluzione più in linea con l’indirizzo comunicato da Palazzo d’Orleans.
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La “Spirale” di Costas Varotsos

Vale intanto la pena soffermarsi sulle opere distribuite sull’area archeologica di Segesta. Come sottolineano le curatrici Beatrice Merz e Agata Polizzi, “questa diventa luogo di dialogo e incontro, dove le installazioni contemporanee si inseriscono con rispetto verso l’armonica compostezza degli antichi manufatti, senza però lasciarsene intimorire e lasciare alcun segno della loro presenza una volta conclusa la mostra. Tema portante dell’operazione è infatti il dialogo con la natura, il rapporto con un ambiente ancora vergine, dove lo stesso tempio e il teatro di Segesta paiono quasi chiedere permesso”.
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L’area dell’agorà

Nell’Agorà, spiccano le due opere, tra loro collegate, di Mario Merz, l’artista milanese scomparso nel 2003 considerato come uno dei maggiori esponenti della cosiddetta “arte povera”. Si intitolano “Un segno nel Foro di Cesare” e “Fibonacci Sequence”. La prima è una spirale di luce che rappresenta un segno sulla terra arcaica e del mito che accoglie l’opera nel suo grembo e ne rimbalza l’energia visiva nel paesaggio circostante. L’altra è la rappresentazione grafica della sequenza di Leonardo Fibonacci, il matematico medievale che aveva individuato nella serie numerica il processo di crescita della vita. L’andamento curvilineo degli elementi dell’installazione – illustrano le curatrici – “instaura una relazione dinamica con lo spazio, conferendo armonia nuova tra il materiale con la quale è realizzata e le antiche pietre di incontro dell’Agorà. La sequenza di colore rosso lava che corre sulle colonne del tempio con un velocissimo guizzo al neon, le proietta verso il futuro”.La serie numerica, detta anche “successione aurea”, su cui lo scienziato pisano incentrò i suoi studi 800 anni fa, è un tema ricorrente della poetica di Mario Merz: “L’armonia insita nella proliferazione di forme naturali che si ripetono incessantemente, riporta all’origine di un universo del quale intuiamo solo in minima parte la struttura logica”, spiegano Beatrice Merz e Agata Polizzi.
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“Primo punto dell’ariete”, Ignazio Mortellaro

Sorge invece nella zona dell’Antiquarium l’opera site specific di Ignazio Mortellaro, intitolata “Primo punto dell’ariete”: una torre in acciaio Corten dalla quale un corno d’ariete fuso in ottone sistemato sulla sommità della torre irradia un suono arcaico, profondo. La registrazione sonora creata dal sassofonista Gianni Gebbia valica la valle, comunicando risveglio e rinascita ed evocando lo shofar, il piccolo corno di montone, oggetto rituale delle comunità ebraiche presenti da tempi remoti in Sicilia, utilizzato in particolare durante funzioni religiose come quelle dello Yom Kippur, il giorno dell’espiazione che si celebra all’inizio di ottobre.
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Il Tempio di Segesta (foto Ludvig14, Wikipedia)

Posta alla destra del tempio, c’è invece la Spirale, opera dello scultore ateniese Costas Varotsos: la trasparenza dell’armatura di ferro e l’anima di vetro – spiegano a MondoMostre – vogliono comunicare la riflessione dell’artista sulla condizione umana e il suo rapporto ancestrale con l’Universo: “La ricerca di Varotsos propone equilibrio tra arte e contesto, cercando la giusta proporzione tra azione umana e potere della natura. E stabilisce un vortice di relazioni con la realtà circostante senza limiti e frontiere”. Una commistione tra antico e contemporaneo che ha fatto fare marcia indietro alla Regione.