◉ PALERMO

Dalla Favorita al Salinas recuperata la statua di Diana cacciatrice pronta al restauro

Da decenni si trovava nell’area militare dell’ex deposito combustibili della Marina, all’inizio di viale Diana. Risalente al secondo secolo dopo Cristo, faceva probabilmente parte della collezione Farnese passata ai Borbone. Adesso è esposta nel chiostro del museo e troverà spazio nel nuovo allestimento del primo piano

di Guido Fiorito

5 Marzo 2024

Il museo archeologico Salinas recupera e restaura una statua di Diana cacciatrice dimenticata per decenni all’interno della Favorita. Una storia particolare di una Palermo inesauribile giacimento di tesori nascosti. Le certezze sono che si tratta di una statua del secondo secolo dopo Cristo, di autore sconosciuto e pregevole fattura, che raffigura Diana, copia romana del classico modello greco di Artemide, con il cane e la faretra, scolpita in un unico blocco di marmo.

La statua di Diana cacciatrice esposta al Salinas

Da decenni stava nell’area militare dell’ex deposito combustibili della Marina, proprio dove inizia viale Diana, e, questo nome non è un caso, ovvero sopra l’ingresso in Favorita dalla zona Fiera. Nel 2003 era stata identificata dal Comando tutela patrimonio culturale dei carabinieri di Palermo e si ritenne necessario il trasferimento al museo per preservarla. Sono passati vent’anni per realizzare l’impresa e la statua è adesso nel grande chiostro del Salinas, dove sarà restaurata a vista dei visitatori nei prossimi tre mesi.

È in corso una ricostruzione della storia di questa statua, con l’ipotesi fondata che sia la Diana cacciatrice citata nella collezione Farnese. Si trattava della più grande collezione d’arte antica d’Italia, in buona parte dispersa e finita ai Borbone grazie al matrimonio dell’ultima discendente dei Farnese, la nipote Elisabetta, con il re Filippo V di Spagna. La collezione fu portata a Napoli dal figlio Carlo di Borbone nel 1735.

Da sinistra, Caterina Greco, Tiziano Garrapa, Francesco Paolo Scarpinato, Maurizio Scardino

“Se si tratta come pensiamo di quella statua, di cui si sono perse le tracce – dice Caterina Greco, direttrice del Salinas – fu portata a Palermo prima del 1814 perché in quell’anno viene citata da un documento topografico esistente all’interno della Favorita, allora parco di caccia del re che era stato istituito nel 1799”. In quell’anno Ferdinando III di Borbone, al tempo dell’invasione napoleonica, era fuggito in Sicilia, stabilendo a Palermo la capitale del regno.

L’opera appare oggi mutilata. Un disegno di un viaggiatore francese ritrae la Diana della Favorita con testa e braccia che, se l’identificazione è giusta, sarebbero state perse successivamente, così come una gamba della dea e il cane. “La statua – dice Costanza Polizzi, archeologa del Salinas che ha seguito il recupero – era all’aperto, in un piccolo poggio alle falde del monte Pellegrino nell’aerea del deposito combustibile della Marina che veniva utilizzato per rifornire le navi durante la seconda guerra mondiale. Era protetta in parte da una nicchia di cocci di pietre senza copertura, esposta alle intemperie. Tirarla fuori non è stato facile, i preparativi sono durati un anno, nonostante la collaborazione della Marina militare e dei rangers della riserva. Per raggiungere l’area abbiamo fatto un trekking in una selva di vegetazione, costruito una passerella per fare superare il dislivello alla statua che pesa almeno 150 chili”.

Quel che resta del cane e del piede della statua

Adesso si festeggia il recupero. “L’unione fa la forza – afferma l’assessore regionale ai Beni culturali, Francesco Paolo Scarpinato -, la sinergia tra Regione, Esercito, Marina e privati restituisce l’opera al pubblico, com’è giusto per un bene dello Stato”.

Il restauro è stato, infatti, finanziato da due mecenati, i marchesi Annibale e Marida Berlingeri e sarà effettuato da Francesco Fazzio: “La superficie del marmo – dice il restauratore – è annerita da fenomeni biologici dovuti alla esposizione all’aria aperta, come alghe e licheni. Useremo trattamenti ripetuti più volte con sostanze biocide per recuperare il nitore del marmo e quindi il gioco di luci e ombre che è uno dei pregi della statua. Faremo anche delle indagini diagnostiche, per verificare l’entità più o meno grave di alcune lesioni visibili a occhio nudo”.

La statua di Diana, dopo il restauro, è destinata in futuro a una sala al primo piano del Salinas che conterrà le donazioni borboniche. “Si ricongiunge così – dice Caterina Greco – a una statua di Menade della stessa collezione Farnese, anch’essa nel passato collocata nel Real Parco della Favorita e oggi ospitata dal nostro museo”.

Interessato alla vicenda anche il professore Giuseppe Barbera, esperto paesaggista, che presiede il gruppo di lavoro voluto dal sindaco Roberto Lagalla per valorizzare la Favorita. “Ritengo che quando recupereremo le aree in cui erano collocate queste statue – dice – sarebbe doveroso esporre una loro copia”.